domenica 26 maggio 2013

Partiti e tornati, di Marco Travaglio

Editoriale di Marco Travaglio. Rimborsi elettorali ai partiti, che fino ad ora sono solo tweet di Letta e titoloni sulla stampa. I Partiti sono come i drogati vanno disintossicati dai soldi un po' alla volta. Si chiede Travaglio: Come mai questo ddl sull'abolizione dei finanziamenti pubblici puzza così tanto di bruciato?

Per ora l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti è solo un tweet di Enrico Letta che annuncia un disegno di legge che verrà esaminato dalle commissioni parlamentari competenti e poi, se nel frattempo non sarà caduto il governo o finita la legislatura, approderà nelle aule di Camera e Senato che dovranno discuterlo, emendarlo e infine approvarlo con doppia lettura conforme. Insomma, i titoli trionfalistici dei giornaloni (Repubblica: “Soldi ai partiti, stop entro luglio”, Corriere: “Letta: basta soldi ai partiti”, La Stampa: “Partiti, stop ai soldi pubblici”) sono la solita propaganda a un governo che finora non ha fatto altro se non promettere mari e monti senz’avere un soldo in cassa. Dipendesse dai giornali, Letta e i suoi ministri sarebbero disoccupati, perché l’Italia l’avrebbe già salvata il governo Monti a colpi di “Salva Italia”, “Semplifica Italia”, “Sviluppa Italia”, “Modernizza Italia”, “Cresci Italia”, piani per la crescita, agende e tavoli e road map delle riforme (ovviamente condivise), fasi-1 e fasi-2, spending review, superconsulenti, supersaggi e supercazzole. Insomma avrebbe rivoluzionato la sanità, la scuola, l’università, le infrastrutture e la pubblica amministrazione, sbaragliato la corruzione, l’evasione e la disoccupazione, varato la miglior legge elettorale di tutti i tempi.


Ora il copione si ripete con i mirabolanti annunci del governo Letta, regolarmente seguiti dal nulla. Vedremo se i fondi ai partiti avranno una sorte diversa, nel qual caso lo riconosceremo con gioia, visto che furono abrogati già vent’anni fa dal referendum del ’93, subito annullato dalla legge-truffa che li fece rientrare dalla finestra sotto le mentite spoglie dei “rimborsi elettorali”. Da allora i partiti hanno incassato indebitamente 3 miliardi di euro solo per i “rimborsi”, cui però vanno aggiunte altre fonti di approvvigionamento: i contributi ai gruppi parlamentari e regionali, gli sgravi fiscali sulle donazioni dei privati, le agevolazioni postali, i soldi ai giornali di partito (veri o finti). Decenza e coerenza vorrebbero che i partiti di maggioranza, mentre annunciano una riforma così impegnativa, rinunciassero alla rata che sta per piovergli addosso per le scorse elezioni: 45,8 milioni al Pd, 38 al Pdl, 15 a Monti. Il tanto bistrattato M5S l’ha già fatto con i “suoi” (cioè nostri) 42,7. Non è difficile: basta non ritirarli. Perché non lo fanno? Perché l’annunciata abrogazione del finanziamento pubblico puzza tanto di fregatura, cioè di una legge che i rimborsi non li abolirà, ma li chiamerà con un altro nome.


Il ddl non c’è ancora, ma già si sa che introdurrà il meccanismo dell’1 per mille sulla dichiarazione dei redditi, affinché i contribuenti possano devolvere una parte delle tasse ai partiti: non è chiaro se al proprio partito o a un unico bottino che le forze politiche si spartiranno in proporzione ai voti. Questa seconda ideona fu sperimentata nel 1999 col 4 per mille, ma quasi nessuno contribuì: un po’ perché non si poteva scegliere il partito da sostenere, un po’ perché i partiti stavano sulle palle agli elettori. In ogni caso, con l’1 per mille il gettito fiscale diminuirebbe per confluire in parte nelle casse di associazioni private quali sono i partiti: dunque sarebbe un’altra forma di finanziamento pubblico, non certo un’abrogazione. Non solo: il ddl confermerà gli sgravi fiscali del 26% sui contributi privati (70 volte superiori a quelli sulle donazioni benefiche), regalerà ai partiti sedi, spazi tv e spese postali gratuiti (cioè pagati da noi). E il nuovo sistema entrerà in vigore gradualmente in tre anni, perché i partiti vanno disintossicati poco per volta, come i drogati col metadone. Infine, nulla si sa del controllore (la Corte dei Conti o le Camere, cioè i partiti stessi che si coprono a vicenda?) né delle sanzioni: l’esclusione dalle elezioni, come in Germania, è respinta con orrore dal ministro Quagliariello. Ma allora, se chi viola la legge può candidarsi come se nulla fosse, perché dovrebbe rispettarla?

di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano

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